venerdì 11 aprile 2014
venerdì 4 aprile 2014
martedì 1 aprile 2014
CUCINA GREEN: MINIMO SCARTO, MASSIMO GUSTO
Ecosostenibilità applicata ai fornelli
Tutti noi siamo abituati a parlare di “eco- sostenibilità”
applicata alla vita di tutti i giorni facendo riferimento a mezzi di trasporto,
riscaldamento e architettura; sviluppo sostenibile, protezione del verde e
raccolta differenziata. Molti però ignorano che il concetto di
ecosostenibilità, insieme a quello di autoproduzione, può essere un
validissimo principio adoperato anche in cucina. È così che nasce infatti la
cosiddetta “cucina green”, ovvero l’arte culinaria che predilige il consumo di alimenti autoprodotti
appunto in maniera del tutto naturale, riducendo gli scarti al minimo
indispensabile, se non proprio a zero. Saper cucinare infatti non significa
soltanto saper preparare piatti prelibatissimi e potenzialmente costosi, o
affiancare e mixare cibi e culture distanti tra loro, per dare vita a sapori
completamente nuovi. Il giubilo del palato infatti può derivare anche dalla
commistione di originalità, qualità, sicurezza ed impatto ambientale che
tutto questo comporta. E non stiamo parlando semplicemente di alimenti
biologici o di cibi senza additivi, conservanti e quant’altro.
Per cucinare veramente “sostenibile”, occorre tener presente
la complessità della filiera alimentare dal ciclo produttivo a quello
distributivo, fino allo smaltimento: solo così potremo scegliere
consapevolmente cosa mettere nel nostro carrello. Allora quali sono i cibi
veramente sostenibili? Sicuramente quelli che viaggiano poco: equivale a dire
prodotti locali e non di serra, ma di stagione, con pochi imballaggi e poco
elaborati, senza conservanti, coloranti e additivi. Non dimentichiamo però che
quando siamo davanti ai fornelli dovremmo preoccuparci di cosa consumiamo, ma
soprattutto di cosa buttiamo via: si pensi che 1/3 del cibo prodotto al mondo
per il consumo mondiale (circa 1,3 miliardi di tonnellate) viene annualmente
perduto o sprecato. Un vero peccato! Eppure basterebbe provare ad intervenire
progressivamente sul proprio stile di vita attraverso piccoli accorgimenti, un
po’ di applicazione e un minimo di ragionamento per preparare i nostri piatti
nel modo meno “impattante” possibile.
FRAMMENTI DI CINEMA IN 15 ANNI DI VITA
Mimmo Mancini: cosa rimane del cinema indipendente tra
crisi, politica e cultura
Nello scorso numero di MuratTiamo vi abbiamo raccontato un
po’ la storia di Ameluk e di come sia difficile far emergere il cinema
indipendente nell’Italietta da “grande schermo”. Abbiamo quindi scelto di farci
una chiacchierata direttamente con il regista di Ameluk, Mimmo Mancini, per
osservare più da vicino la relazione tra crisi e cultura.
Da LaCapaGira ad oggi, cos’è cambiato nel cinema italiano?
Rispondere con cognizione di causa ed onestà intellettuale è
abbastanza impegnativo. Ci provo. Parliamo di circa 15 anni, l’età di mio
figlio Paolo, per capirci e materializzare la quantità di tempo e di eventi che
si sono succeduti in questo frammento di mondo vissuto.
Da LaCapaGira ad oggi, o meglio: da un Oscar all’altro. Mi
balza in mente un'immagine: l’inaugurazione di un cinema parrocchiale a Santo
Spirito, ristrutturato in sala di buona qualità che tutt’oggi esiste. Quel
lontano 1999, oltre al pubblico, in sala c'erano Oscar Jarussi, scrittore e
critico cinematografico della Gazzetta del Mezzogiorno; Sergio Rubini, attore
regista; Domenico Procacci, produttore editore, ed io. In quell’occasione Jarussi
parlava della Puglia attraverso il cinema, presentando un suo libro
sull'argomento. Allora erano ancora pochi i titoli dei film italiani e
stranieri realizzati in quella terra, ma LaCapaGira stava per segnare il suo destino e un nuovo periodo per il cinema
indipendente: da quell’anno, di film in Puglia ne hanno girati tantissimi, dal
Gargano a Santa Maria di Leuca. Questo è il primo dato importante: l'efficacia
dell’Apulia Film Commission e delle Film Commission in generale, che hanno
rivoluzionato la distribuzione del cinema italico e straniero su tutto il
territorio nazionale.
Dunque una vera e propria decongestione della scena
romana...
Quadruplicate le presenze dei set, formate e coinvolte tante
figure professionali (tra discutibili e ottime) che addirittura hanno lasciato
Roma, capitale dalla vita carissima e dagli scarsi stimoli, ma comunque
capitale di un cinema italiano ricco per eredità e non certo per nuovi fermenti
creativi. Ebbene si, lo smantellamento della concentrazione di cinema nella capitale,
l’ha causato proprio l’efficacia delle Film Commission italiane, prima di tutte
quella del Piemonte. Poi la Puglia, la Toscana, fino al boom attuale del
Trentino, dove ormai si gira di tutto, anche film sull’Africa e sugli elefanti-
pessima battuta per dire che pare abbiano molti soldi da investire in cinema e
televisione senza un perché, e allora... Io però non vorrei mai vedere
Cinecittà chiudere: piuttosto vorrei vedere nuove persone capaci di gestirla e
non permettere più a nessuno di girare in Marocco, Romania, Bulgaria, Serbia,
Argentina con i soldi delle tasse del popolo italiano. Salviamo Cinecittà dai
papponi e dalla politica.
Oggi quindi parliamo di low budget anche nel cinema?
Low budget: una parola molto usata da LaCapaGira in poi, nel
cinema italiano e nella fiction ex opulenta.
È cambiato il modo di riprendere il cinema a tutto tondo. Oggi il cinema
low low, senza budget, è più accessibile e chiunque può provarci, grazie alla
tecnologia che ha contribuito a questa grande rivoluzione.
Certo non giri un kolossal, ma piccole storie, prodotte da
nuove produzioni o da ex grandi in difficoltà: storie che si realizzano con
dignità tecnica ma non certo con dignità umana ed economica.
E qui veniamo ad un altro grande cambiamento...
Il dimezzamento delle paghe tra tecnici e attori, e forse
anche per i produttori. Dimezzamento che se riferito ai cachet opulenti di un
tempo offerti alle star va benissimo: era ora di smetterla nel destinare più di
metà budget su pochi Conti Correnti. Però non condivido la riduzione delle già
ridotte paghe destinate a tutti i tecnici e attori magari bravi, seri, onesti e
disponibili (parliamo di una buona percentuale), ma ahimè non decorati o
lustrinati (da chi poi?). Nel caos degli ultimi 15 anni sono sparite anche quelle
poche regole sindacali, ottenute con sacrifici e dure lotte da illustri
personaggi del cinema; ed è sparita un bel po' di dignità professionale e
umana.
Il ruolo della politica in merito?
Film girati a metà, mai usciti perché non commestibili
nemmeno sul piccolo schermo; una giungla di pseudo produttori di una pseudo
sinistra che ha contribuito alla morte delle piccole produzioni. Alla fine è
emersa una nuova idea di cinema: aggressivo, senza regole o con nuove regole
che arrivano dalla televisione che in questi 15 anni ha divorato tutto. Nuove
ricette, nuove strategie: non c’è più bisogno di bravi sceneggiatori, bravi
registi, sedute fiume di scrittura a due, a tre o a quattro. Non si costruisce
più un film con le mani delle maestranze negli studi: tutto gira intorno a un
tavolo di qualche ufficio tra sponsor, politica, consulenze ben pagate, uffici
marketing, esperti della comunicazione. Persino le raccomandazioni sono
cambiate: prima erano velate, coperte da discrezione; ora i raccomandati ne
hanno fatto un motivo di vanto e di sputtanamento spontaneo: “se non sei
raccomandato, non sei nessuno”. Un proliferare di starlette e di stalloni
incapaci d’intendere e volere ma intoccabili, grazie alla politica tutta e
senza escludere nessun simbolo. Certo c’è chi l’ha fatto alla luce del sole e
chi ha continuato a farlo sottobanco, anzi sotto coperte.
E la domanda aumenta, solo per ingrassare follemente le fila
di giovani generazioni dell’immagine e dell’apparire, nuovi disoccupati senza
nessuna speranza, figli di uno spettacolo privo di tutto, anche del sipario.
La solita forbice tra quantità e qualità insomma.
Più produzioni non portano necessariamente più cinema di
qualità, però la nota positiva è che se vuoi realizzare una tua idea puoi
farcela. Unico problema resta la distribuzione. Non basta una buona storia:
prima di tutto serve la distribuzione, coinvolgere investitori, marchi, banche:
la famosa tax credit.
Servono nomi di star gradite al sistema, utili per avere il
denaro e la pubblicità dalla RAI o da Medusa. Più nomi hai, più soldi ricevi.
Se la storia non è il massimo, fa nulla, tanto tra diritti ceduti alle tv,
vendita pur minima e misera all’estero, pochi spiccioli ma che fanno sempre
comodo, tra ministero e film commission, tra comunità europea e tax credit
delle banche...
Come si può risolvere questo problema?
Quindici anni non sono tanti rispetto a una stella, ma sono
tanti per descrivere un settore così difficile da analizzare in un solo
articolo. Sono quindici anni da setacciare giorno per giorno, anno per anno,
ottima materia per una tesi di laurea. Una tesi che sia anche una denuncia su
tutto quello che in questi quindici anni ha contribuito a far del male al
nostro cinema italiano. Non basta un Oscar per dire che il cinema italiano è
salvo, è vivo, è in ripresa. Così come non è bastato quindici anni fa. A mio
modestissimo parere ci sono molte luci che ancora tengono duro e cercano di non
spegnersi nel cinema italiano, ma ci sono anche molte ombre che vanno
illuminate e presto, ma in ogni settore e non solo sul cinema italiano.
“Mi piacciono le facce proletarie, quelle che raccontano
qualcosa di vero, di autentico e noi, che gli zingari del Montenegro li abbiamo
conosciuti, li riconosciamo nel vecchio con i denti di oro di Kusturica. E lui
ha avuto la grande intelligenza di mettere insieme queste facce, di raccontare
le storie che appartengono al genere
umano e non solo all’ex Jugoslavia, non ha avuto che l’intuizione di dire
<<racconto io per voi ma siete voi i veri protagonisti>>. Spero ci
sia anche in Puglia un regista capace di raccontare certe storie e di scegliere
le belle facce proletarie che non mancano e che ne avrebbero di cose da
dire. LaCapaGira non è un capolavoro ma
sicuramente può essere un punto di
partenza. Siamo solo agli inizi.
Tempo fa mi sono rivolto dal sig. De Santis, grosso
produttore di olio che esporta in tutto
il mondo; gli avevo chiesto un piccolo budget di dieci milioni per la
realizzazione di un cortometraggio in cui c’era anche lo spazio per parlare
della lavorazione dell’olio. Mi ha risposto di non essere assolutamente
interessato, e tutto ciò detto con un certo disprezzo.
Perché i signori industriali pugliesi, e sono tanti, non
decidono di fare qualcosa in questo settore? Mi è stato detto che Fellini i
primi film li ha realizzati grazie ad alcuni negozianti romani che hanno fatto
una specie di colletta per farglieli finire”.
Quest’ultimo virgolettato fa parte di un’intervista fattami
da una laureanda (allora, oggi laureata e disoccupata poverina, che non nomino
per riservatezza e rispetto) in Scienze della Comunicazione. Fa parte della sua
tesi. La ripresento per alcuni dati e per alcune mie osservazioni che risalgono
appunto a circa dieci anni fa. Mi fa pensare che le cose non siano cambiate poi
così tanto.
ARTE IN FIERA: PRESERVARE, FRUIRE, TRAMANDARE
253 opere da salvare per la cittadinanza
L’obiettivo è quello di preservare l’arte, renderla
fruibile e tramandarla, per permettere ai cittadini di oggi e del domani di
ammirare il patrimonio artistico di cui sono inconsapevoli destinatari e
indiretti possessori. Ecco perché la Fiera del Le- vante ha scelto di
destinare a nuova vita la pro- pria collezione di opere d’arte che, tra quadri,
sculture e foto storiche dei maggiori artisti del ‘900, ha suscitato grande
interesse a livello na- zionale, tanto da esporre i pezzi più importanti al
Padova Arte. Le opere, acquisite durante le più im- portanti edizioni di
ExpoArte (la prima fiera d’arte contemporanea italiana nata nel 1976), o donate
da gallerie e singoli artisti, necessitano di un re- stauro. Per questo motivo
l’Ente fieristico, che non intende perdere un patrimonio artistico e storico
così prezioso, ha annunciato di voler riorganizza- re,
catalogare, autenticare e meglio valorizzare la propria collezione, aprendo le
porte ad università ed enti di studio, e accogliendo proposte da priva- ti,
per salvaguardare questa ricchezza nel tempo. Nella prospettiva di organizzare
anche un’esposi- zione permanente per consentire anche al grande pubblico di
usufruirne, bisogna ora trovare i fondi per avviare questa operazione di
restauro: “Sarà mia cura tutelare i quadri in modo che non si pos- sa
speculare. Stiamo parlando di un patrimonio della città e non solo della
Fiera”, ha commentato il presidente dell’Ente fieristico, Ugo Patroni Griffi.
Non una svendita dunque, ma un invito, rivolto a tutti, a proteggere e tutelare
un bene comune.
DUE PIANI ROSSO BRITISH: ARRIVA IL BUS 36
Cene e party itineranti anche a Bari
Prima è toccato ai tram milanesi trasformarsi in ristoranti
“on the road” ed ospitare a cena pellegrini e autoctoni portandoli in giro per
la città. Poi è stata la volta delle limousine, tra- ghettatrici di anime
erranti nelle ore notturne, improbabili discoteche a quattro ruote, stra-
bordanti di umanità centellinata e poi dissolta in cocktail. In una sola
parola: originalità. Pare essere questa la chiave vincente per cattura- re
l’attenzione di un pubblico ormai annoiato dal solito tran-tran del weekend.
Ecco perché Giovanni Calabrese, 34enne di Bari, ha scelto di tornare in
Puglia, nella sua terra natale, per dare finalmente forma e consistenza ad
un’idea nata e maturata nel corso di una vita passata a girare il mondo. Tra
Egitto e Caraibi, Australia e Stati Uniti, Giovanni ne ha sicuramente viste di
cose bizzarre e stravaganti, curiose ed origina- li. Ma l’aspetto più bello
delle esperienze all’e- stero sta nella voglia di ritornare a “casa” per
“importare” qui ciò che di buono si è visto fuori. E infatti il nostro
giramondo ha deciso di por- tare con sé un piccolo grande souvenir a due
piani, rosso e col numero 36. Stiamo parlando dell’ultima moda del momento, che
ha riscosso già notevole successo in molti Paesi e anche in qualche città
italiana, ma del tutto inedita qui a Bari: con il Bus 36 il party diventa
itinerante! “L’idea mi è venuta in mente quand’ero a Mel-
bourne”, ha spiegato Giovanni che, nel com- mentare questa
nuova e –speriamo- diver- tente e fruttuosa sfida, affiancato dalla sua
compagna, ha sottolineato più volte di “non voler aprire il solito locale”. E
infatti parliamo di due piani in stile rosso British dove si po- trà cenare,
bere e ballare. Sarà possibile affit- tare questo bus speciale per un party
insolito, per una cena romantica o per divertirsi con gli amici nel privè di
una discoteca itinerante. Il progetto si presenta subito come un’impresa
tutt’altro che semplice, per la quale non basta- va certo acquistare e
ristrutturare un autobus: “La burocrazia ha un po’ rallentato il tutto, ma per
fortuna, grazie all’impegno delle istituzio- ni e dell’assessore comunale al
Commercio De Franchi, ora finalmente possiamo partire”. E noi gli auguriamo un
“in bocca al lupo” coi fiocchi.
CRISI: IN TAVOLA LA DIETA DELLA SPERANZA
K.O. per i consumi nei settori Alimentazione e Sanità
Estremizziamo per rendere appieno l’idea: tra una fetta di
carne, un check up e un Gratta e Vinci, gli italiani scelgono sicuramente
quest’ultimo, perché la fame è tanta sì, ma la speranza- come si dice - è
l’ultima a morire.
I dati resi noti dall'Istat sui consumi delle famiglie
nell’anno 2013, parlano da soli:
-3,1% nel settore alimentare e -5,7% per la sanità. Si tratta di percentuali
estremamente indicative della situazione di profonda crisi in cui vivono gli
italiani. Secondo l’Osservatorio Nazionale Federconsumatori infatti, a causa
della riduzione del proprio potere di acquisto, una famiglia di tre persone nel
2013 è stata costretta a ridurre i propri consumi alimentari di circa 309 euro.
Per contro, l'unico settore che non conosce crisi-
incredibile ma vero- è quello del gioco, il cui giro d'affari cresce in maniera
esponenziale di giorno in giorno ed è arrivato ad assorbire oltre il 12% della
spesa delle famiglie. Roba da mani tra i capelli. Questo tipo di “consumo” non
consola affatto, anzi: non fa che evidenziare chiaramente la disperazione dei
cittadini che affidano la propria speranza di fuoriuscita dalla crisi
affidandosi alle mani della dea bendata.
In questo modo continuiamo a portare in tavola i piatti
previsti dalla dieta della speranza, attingendo da un buffet ricco non solo di
Gratta e Vinci, ma anche di lotterie, slot e scommesse di ogni genere. Una
situazione che, solo a scriverne, suscita immenso disagio e difficoltà.
Cosa fare per riprendere in mano le redini? Secondo la
Federconsumatori, tanto per cominciare “è necessario un intervento urgente
contro le speculazioni nei vari passaggi di filiera, che ancora incidono
pesantemente sui prezzi dei beni, frenandone la domanda”. Ma indispensabile è
anche “avviare misure immediate per il rilancio del potere di acquisto delle
famiglie e la ripresa della domanda interna, attraverso una detassazione a
favore del reddito fisso (lavoratori e pensionati) e misure per il rilancio
dell'occupazione, in particolar modo quella giovanile”.
Attenzione alle fasce maggiormente colpite
In realtà il problema è molto più ramificato di quanto si
pensi, dal momento che non lo si può certo slegare da quella che impropriamente
viene definita ludopatia.
Negli ultimi anni infatti è aumentato drasticamente il
numero delle persone “cascate” nel vortice del gioco d’azzardo, con particolare
riferimento alle classi sociali più deboli e agli over 65 che dilapidano la
propria pensione nella speranza di fare fortuna. Secondo l'indagine “Anziani e
azzardo”, condotta da Auser, gruppo Abele, Coop Piemonte e Libera (condivisa da
LaRepubblica.it), su mille anziani intervistati, il 70,7% ha ammesso di aver
giocato almeno una volta nell'ultimo anno. Nel 16,4% dei casi i questionari
hanno rilevato una situazione “problematica” in cui l'assuefazione all'azzardo
è di gravità medio-alta. Fortunatamente non tutti i giocatori sono patologici:
il 56,4% scommette senza determinare ripercussioni economiche o sociali; e
comunque la maggior parte gioca per vincere denaro, per divertimento e per incontrare
persone. Un dato che rispecchia la “log(ist)ica” del gioco: non è un caso
infatti che i luoghi in cui si scommette maggiormente siano le ricevitorie e i
bar.
Secondo lo studio, il 30% degli anziani gioca a Lotto e
Superenalotto, il 26,6% al Gratta e Vinci e alle lotterie istantanee. Questi
dati non solo incidono pesantemente sulla qualità di vita delle persone: si
stima che ogni anno le casse statali sborsino circa 6 miliardi di euro in spese
sanitarie e giudiziarie, per non parlare dell'aumento dei crimini legati
all'usura. Eppure questo non basta ad ottenere un’inversione di marcia da parte
del Governo che, anziché impegnarsi in una lotta significativa contro questo
cancro sociale, continua a fare “orecchie da mercante” rispetto agli appelli delle
Associazioni impegnate in questa guerra. “Tutte le forze democratiche - afferma Auser nazionale- devono domandarsi quale modello culturale e
di sviluppo ne può derivare e se quindi sia eticamente accettabile che lo Stato
favorisca la società concessionarie
anche mediante una politica fiscale in virtù della quale alcuni giochi
sono tassati meno dell'1%”.
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