martedì 1 aprile 2014

CUCINA GREEN: MINIMO SCARTO, MASSIMO GUSTO

Ecosostenibilità applicata ai fornelli

Tutti noi siamo abituati a parlare di “eco- sostenibilità” applicata alla vita di tutti i giorni facendo riferimento a mezzi di trasporto, riscaldamento e architettura; sviluppo sostenibile, protezione del verde e raccolta differenziata. Molti però ignorano che il concetto di ecosostenibilità, insieme a quello di autoproduzione, può essere un validissimo principio adoperato anche in cucina. È così che nasce infatti la cosiddetta “cucina green”, ovvero l’arte culinaria che predilige il consumo di alimenti autoprodotti appunto in maniera del tutto naturale, riducendo gli scarti al minimo indispensabile, se non proprio a zero. Saper cucinare infatti non significa soltanto saper preparare piatti prelibatissimi e potenzialmente costosi, o affiancare e mixare cibi e culture distanti tra loro, per dare vita a sapori completamente nuovi. Il giubilo del palato infatti può derivare anche dalla commistione di originalità, qualità, sicurezza ed impatto ambientale che tutto questo comporta. E non stiamo parlando semplicemente di alimenti biologici o di cibi senza additivi, conservanti e quant’altro.
Per cucinare veramente “sostenibile”, occorre tener presente la complessità della filiera alimentare dal ciclo produttivo a quello distributivo, fino allo smaltimento: solo così potremo scegliere consapevolmente cosa mettere nel nostro carrello. Allora quali sono i cibi veramente sostenibili? Sicuramente quelli che viaggiano poco: equivale a dire prodotti locali e non di serra, ma di stagione, con pochi imballaggi e poco elaborati, senza conservanti, coloranti e additivi. Non dimentichiamo però che quando siamo davanti ai fornelli dovremmo preoccuparci di cosa consumiamo, ma soprattutto di cosa buttiamo via: si pensi che 1/3 del cibo prodotto al mondo per il consumo mondiale (circa 1,3 miliardi di tonnellate) viene annualmente perduto o sprecato. Un vero peccato! Eppure basterebbe provare ad intervenire progressivamente sul proprio stile di vita attraverso piccoli accorgimenti, un po’ di applicazione e un minimo di ragionamento per preparare i nostri piatti nel modo meno “impattante” possibile.

FRAMMENTI DI CINEMA IN 15 ANNI DI VITA

Mimmo Mancini: cosa rimane del cinema indipendente tra crisi, politica e cultura

Nello scorso numero di MuratTiamo vi abbiamo raccontato un po’ la storia di Ameluk e di come sia difficile far emergere il cinema indipendente nell’Italietta da “grande schermo”. Abbiamo quindi scelto di farci una chiacchierata direttamente con il regista di Ameluk, Mimmo Mancini, per osservare più da vicino la relazione tra crisi e cultura.
Da LaCapaGira ad oggi, cos’è cambiato nel cinema italiano?
Rispondere con cognizione di causa ed onestà intellettuale è abbastanza impegnativo. Ci provo. Parliamo di circa 15 anni, l’età di mio figlio Paolo, per capirci e materializzare la quantità di tempo e di eventi che si sono succeduti in questo frammento di mondo vissuto.
Da LaCapaGira ad oggi, o meglio: da un Oscar all’altro. Mi balza in mente un'immagine: l’inaugurazione di un cinema parrocchiale a Santo Spirito, ristrutturato in sala di buona qualità che tutt’oggi esiste. Quel lontano 1999, oltre al pubblico, in sala c'erano Oscar Jarussi, scrittore e critico cinematografico della Gazzetta del Mezzogiorno; Sergio Rubini, attore regista; Domenico Procacci, produttore editore, ed io. In quell’occasione Jarussi parlava della Puglia attraverso il cinema, presentando un suo libro sull'argomento. Allora erano ancora pochi i titoli dei film italiani e stranieri realizzati in quella terra, ma LaCapaGira stava per segnare  il suo destino e un nuovo periodo per il cinema indipendente: da quell’anno, di film in Puglia ne hanno girati tantissimi, dal Gargano a Santa Maria di Leuca. Questo è il primo dato importante: l'efficacia dell’Apulia Film Commission e delle Film Commission in generale, che hanno rivoluzionato la distribuzione del cinema italico e straniero su tutto il territorio nazionale.
Dunque una vera e propria decongestione della scena romana...
Quadruplicate le presenze dei set, formate e coinvolte tante figure professionali (tra discutibili e ottime) che addirittura hanno lasciato Roma, capitale dalla vita carissima e dagli scarsi stimoli, ma comunque capitale di un cinema italiano ricco per eredità e non certo per nuovi fermenti creativi. Ebbene si, lo smantellamento della concentrazione di cinema nella capitale, l’ha causato proprio l’efficacia delle Film Commission italiane, prima di tutte quella del Piemonte. Poi la Puglia, la Toscana, fino al boom attuale del Trentino, dove ormai si gira di tutto, anche film sull’Africa e sugli elefanti- pessima battuta per dire che pare abbiano molti soldi da investire in cinema e televisione senza un perché, e allora... Io però non vorrei mai vedere Cinecittà chiudere: piuttosto vorrei vedere nuove persone capaci di gestirla e non permettere più a nessuno di girare in Marocco, Romania, Bulgaria, Serbia, Argentina con i soldi delle tasse del popolo italiano. Salviamo Cinecittà dai papponi e dalla politica.
Oggi quindi parliamo di low budget anche nel cinema?
Low budget: una parola molto usata da LaCapaGira in poi, nel cinema italiano e nella fiction ex opulenta.  È cambiato il modo di riprendere il cinema a tutto tondo. Oggi il cinema low low, senza budget, è più accessibile e chiunque può provarci, grazie alla tecnologia che ha contribuito a questa grande rivoluzione.
Certo non giri un kolossal, ma piccole storie, prodotte da nuove produzioni o da ex grandi in difficoltà: storie che si realizzano con dignità tecnica ma non certo con dignità umana ed economica.
E qui veniamo ad un altro grande cambiamento...
Il dimezzamento delle paghe tra tecnici e attori, e forse anche per i produttori. Dimezzamento che se riferito ai cachet opulenti di un tempo offerti alle star va benissimo: era ora di smetterla nel destinare più di metà budget su pochi Conti Correnti. Però non condivido la riduzione delle già ridotte paghe destinate a tutti i tecnici e attori magari bravi, seri, onesti e disponibili (parliamo di una buona percentuale), ma ahimè non decorati o lustrinati (da chi poi?). Nel caos degli ultimi 15 anni sono sparite anche quelle poche regole sindacali, ottenute con sacrifici e dure lotte da illustri personaggi del cinema; ed è sparita un bel po' di dignità professionale e umana.
Il ruolo della politica in merito?
Film girati a metà, mai usciti perché non commestibili nemmeno sul piccolo schermo; una giungla di pseudo produttori di una pseudo sinistra che ha contribuito alla morte delle piccole produzioni. Alla fine è emersa una nuova idea di cinema: aggressivo, senza regole o con nuove regole che arrivano dalla televisione che in questi 15 anni ha divorato tutto. Nuove ricette, nuove strategie: non c’è più bisogno di bravi sceneggiatori, bravi registi, sedute fiume di scrittura a due, a tre o a quattro. Non si costruisce più un film con le mani delle maestranze negli studi: tutto gira intorno a un tavolo di qualche ufficio tra sponsor, politica, consulenze ben pagate, uffici marketing, esperti della comunicazione. Persino le raccomandazioni sono cambiate: prima erano velate, coperte da discrezione; ora i raccomandati ne hanno fatto un motivo di vanto e di sputtanamento spontaneo: “se non sei raccomandato, non sei nessuno”. Un proliferare di starlette e di stalloni incapaci d’intendere e volere ma intoccabili, grazie alla politica tutta e senza escludere nessun simbolo. Certo c’è chi l’ha fatto alla luce del sole e chi ha continuato a farlo sottobanco, anzi sotto coperte.
E la domanda aumenta, solo per ingrassare follemente le fila di giovani generazioni dell’immagine e dell’apparire, nuovi disoccupati senza nessuna speranza, figli di uno spettacolo privo di tutto, anche del sipario.
La solita forbice tra quantità e qualità insomma.
Più produzioni non portano necessariamente più cinema di qualità, però la nota positiva è che se vuoi realizzare una tua idea puoi farcela. Unico problema resta la distribuzione. Non basta una buona storia: prima di tutto serve la distribuzione, coinvolgere investitori, marchi, banche: la famosa tax credit.
Servono nomi di star gradite al sistema, utili per avere il denaro e la pubblicità dalla RAI o da Medusa. Più nomi hai, più soldi ricevi. Se la storia non è il massimo, fa nulla, tanto tra diritti ceduti alle tv, vendita pur minima e misera all’estero, pochi spiccioli ma che fanno sempre comodo, tra ministero e film commission, tra comunità europea e tax credit delle banche...
Come si può risolvere questo problema?
Quindici anni non sono tanti rispetto a una stella, ma sono tanti per descrivere un settore così difficile da analizzare in un solo articolo. Sono quindici anni da setacciare giorno per giorno, anno per anno, ottima materia per una tesi di laurea. Una tesi che sia anche una denuncia su tutto quello che in questi quindici anni ha contribuito a far del male al nostro cinema italiano. Non basta un Oscar per dire che il cinema italiano è salvo, è vivo, è in ripresa. Così come non è bastato quindici anni fa. A mio modestissimo parere ci sono molte luci che ancora tengono duro e cercano di non spegnersi nel cinema italiano, ma ci sono anche molte ombre che vanno illuminate e presto, ma in ogni settore e non solo sul cinema italiano.

“Mi piacciono le facce proletarie, quelle che raccontano qualcosa di vero, di autentico e noi, che gli zingari del Montenegro li abbiamo conosciuti, li riconosciamo nel vecchio con i denti di oro di Kusturica. E lui ha avuto la grande intelligenza di mettere insieme queste facce, di raccontare le storie che appartengono  al genere umano e non solo all’ex Jugoslavia, non ha avuto che l’intuizione di dire <<racconto io per voi ma siete voi i veri protagonisti>>. Spero ci sia anche in Puglia un regista capace di raccontare certe storie e di scegliere le belle facce proletarie che non mancano e che ne avrebbero di cose da dire.  LaCapaGira non è un capolavoro ma sicuramente può essere un  punto di partenza. Siamo solo agli inizi.
Tempo fa mi sono rivolto dal sig. De Santis, grosso produttore di olio che esporta  in tutto il mondo; gli avevo chiesto un piccolo budget di dieci milioni per la realizzazione di un cortometraggio in cui c’era anche lo spazio per parlare della lavorazione dell’olio. Mi ha risposto di non essere assolutamente interessato, e tutto ciò detto con un certo disprezzo.
Perché i signori industriali pugliesi, e sono tanti, non decidono di fare qualcosa in questo settore? Mi è stato detto che Fellini i primi film li ha realizzati grazie ad alcuni negozianti romani che hanno fatto una specie di colletta per farglieli finire”.

Quest’ultimo virgolettato fa parte di un’intervista fattami da una laureanda (allora, oggi laureata e disoccupata poverina, che non nomino per riservatezza e rispetto) in Scienze della Comunicazione. Fa parte della sua tesi. La ripresento per alcuni dati e per alcune mie osservazioni che risalgono appunto a circa dieci anni fa. Mi fa pensare che le cose non siano cambiate poi così tanto.


ARTE IN FIERA: PRESERVARE, FRUIRE, TRAMANDARE

253 opere da salvare per la cittadinanza

L’obiettivo è quello di preservare l’arte, renderla fruibile e tramandarla, per permettere ai cittadini di oggi e del domani di ammirare il patrimonio artistico di cui sono inconsapevoli destinatari e indiretti possessori. Ecco perché la Fiera del Le- vante ha scelto di destinare a nuova vita la pro- pria collezione di opere d’arte che, tra quadri, sculture e foto storiche dei maggiori artisti del ‘900, ha suscitato grande interesse a livello na- zionale, tanto da esporre i pezzi più importanti al Padova Arte. Le opere, acquisite durante le più im- portanti edizioni di ExpoArte (la prima fiera d’arte contemporanea italiana nata nel 1976), o donate da gallerie e singoli artisti, necessitano di un re- stauro. Per questo motivo l’Ente fieristico, che non intende perdere un patrimonio artistico e storico

così prezioso, ha annunciato di voler riorganizza- re, catalogare, autenticare e meglio valorizzare la propria collezione, aprendo le porte ad università ed enti di studio, e accogliendo proposte da priva- ti, per salvaguardare questa ricchezza nel tempo. Nella prospettiva di organizzare anche un’esposi- zione permanente per consentire anche al grande pubblico di usufruirne, bisogna ora trovare i fondi per avviare questa operazione di restauro: “Sarà mia cura tutelare i quadri in modo che non si pos- sa speculare. Stiamo parlando di un patrimonio della città e non solo della Fiera”, ha commentato il presidente dell’Ente fieristico, Ugo Patroni Griffi. Non una svendita dunque, ma un invito, rivolto a tutti, a proteggere e tutelare un bene comune.

DUE PIANI ROSSO BRITISH: ARRIVA IL BUS 36

Cene e party itineranti anche a Bari

Prima è toccato ai tram milanesi trasformarsi in ristoranti “on the road” ed ospitare a cena pellegrini e autoctoni portandoli in giro per la città. Poi è stata la volta delle limousine, tra- ghettatrici di anime erranti nelle ore notturne, improbabili discoteche a quattro ruote, stra- bordanti di umanità centellinata e poi dissolta in cocktail. In una sola parola: originalità. Pare essere questa la chiave vincente per cattura- re l’attenzione di un pubblico ormai annoiato dal solito tran-tran del weekend. Ecco perché Giovanni Calabrese, 34enne di Bari, ha scelto di tornare in Puglia, nella sua terra natale, per dare finalmente forma e consistenza ad un’idea nata e maturata nel corso di una vita passata a girare il mondo. Tra Egitto e Caraibi, Australia e Stati Uniti, Giovanni ne ha sicuramente viste di cose bizzarre e stravaganti, curiose ed origina- li. Ma l’aspetto più bello delle esperienze all’e- stero sta nella voglia di ritornare a “casa” per “importare” qui ciò che di buono si è visto fuori. E infatti il nostro giramondo ha deciso di por- tare con sé un piccolo grande souvenir a due piani, rosso e col numero 36. Stiamo parlando dell’ultima moda del momento, che ha riscosso già notevole successo in molti Paesi e anche in qualche città italiana, ma del tutto inedita qui a Bari: con il Bus 36 il party diventa itinerante! “L’idea mi è venuta in mente quand’ero a Mel-

bourne”, ha spiegato Giovanni che, nel com- mentare questa nuova e –speriamo- diver- tente e fruttuosa sfida, affiancato dalla sua compagna, ha sottolineato più volte di “non voler aprire il solito locale”. E infatti parliamo di due piani in stile rosso British dove si po- trà cenare, bere e ballare. Sarà possibile affit- tare questo bus speciale per un party insolito, per una cena romantica o per divertirsi con gli amici nel privè di una discoteca itinerante. Il progetto si presenta subito come un’impresa tutt’altro che semplice, per la quale non basta- va certo acquistare e ristrutturare un autobus: “La burocrazia ha un po’ rallentato il tutto, ma per fortuna, grazie all’impegno delle istituzio- ni e dell’assessore comunale al Commercio De Franchi, ora finalmente possiamo partire”. E noi gli auguriamo un “in bocca al lupo” coi fiocchi.

CRISI: IN TAVOLA LA DIETA DELLA SPERANZA

K.O. per i consumi nei settori Alimentazione e Sanità

Estremizziamo per rendere appieno l’idea: tra una fetta di carne, un check up e un Gratta e Vinci, gli italiani scelgono sicuramente quest’ultimo, perché la fame è tanta sì, ma la speranza- come si dice - è l’ultima a morire.
I dati resi noti dall'Istat sui consumi delle famiglie nell’anno 2013, parlano da soli:
-3,1% nel settore alimentare e -5,7%  per la sanità. Si tratta di percentuali estremamente indicative della situazione di profonda crisi in cui vivono gli italiani. Secondo l’Osservatorio Nazionale Federconsumatori infatti, a causa della riduzione del proprio potere di acquisto, una famiglia di tre persone nel 2013 è stata costretta a ridurre i propri consumi alimentari di  circa 309 euro.
Per contro, l'unico settore che non conosce crisi- incredibile ma vero- è quello del gioco, il cui giro d'affari cresce in maniera esponenziale di giorno in giorno ed è arrivato ad assorbire oltre il 12% della spesa delle famiglie. Roba da mani tra i capelli. Questo tipo di “consumo” non consola affatto, anzi: non fa che evidenziare chiaramente la disperazione dei cittadini che affidano la propria speranza di fuoriuscita dalla crisi affidandosi alle mani della dea bendata.
In questo modo continuiamo a portare in tavola i piatti previsti dalla dieta della speranza, attingendo da un buffet ricco non solo di Gratta e Vinci, ma anche di lotterie, slot e scommesse di ogni genere. Una situazione che, solo a scriverne, suscita immenso disagio e difficoltà.
Cosa fare per riprendere in mano le redini? Secondo la Federconsumatori, tanto per cominciare “è necessario un intervento urgente contro le speculazioni nei vari passaggi di filiera, che ancora incidono pesantemente sui prezzi dei beni, frenandone la domanda”. Ma indispensabile è anche “avviare misure immediate per il rilancio del potere di acquisto delle famiglie e la ripresa della domanda interna, attraverso una detassazione a favore del reddito fisso (lavoratori e pensionati) e misure per il rilancio dell'occupazione, in particolar modo quella giovanile”.

Attenzione alle fasce maggiormente colpite

In realtà il problema è molto più ramificato di quanto si pensi, dal momento che non lo si può certo slegare da quella che impropriamente viene definita ludopatia.
Negli ultimi anni infatti è aumentato drasticamente il numero delle persone “cascate” nel vortice del gioco d’azzardo, con particolare riferimento alle classi sociali più deboli e agli over 65 che dilapidano la propria pensione nella speranza di fare fortuna. Secondo l'indagine “Anziani e azzardo”, condotta da Auser, gruppo Abele, Coop Piemonte e Libera (condivisa da LaRepubblica.it), su mille anziani intervistati, il 70,7% ha ammesso di aver giocato almeno una volta nell'ultimo anno. Nel 16,4% dei casi i questionari hanno rilevato una situazione “problematica” in cui l'assuefazione all'azzardo è di gravità medio-alta. Fortunatamente non tutti i giocatori sono patologici: il 56,4% scommette senza determinare ripercussioni economiche o sociali; e comunque la maggior parte gioca per vincere denaro, per divertimento e per incontrare persone. Un dato che rispecchia la “log(ist)ica” del gioco: non è un caso infatti che i luoghi in cui si scommette maggiormente siano le ricevitorie e i bar.
Secondo lo studio, il 30% degli anziani gioca a Lotto e Superenalotto, il 26,6% al Gratta e Vinci e alle lotterie istantanee. Questi dati non solo incidono pesantemente sulla qualità di vita delle persone: si stima che ogni anno le casse statali sborsino circa 6 miliardi di euro in spese sanitarie e giudiziarie, per non parlare dell'aumento dei crimini legati all'usura. Eppure questo non basta ad ottenere un’inversione di marcia da parte del Governo che, anziché impegnarsi in una lotta significativa contro questo cancro sociale, continua a fare “orecchie da mercante” rispetto agli appelli delle Associazioni impegnate in questa guerra. “Tutte le forze democratiche -  afferma Auser nazionale-  devono domandarsi quale modello culturale e di sviluppo ne può derivare e se quindi sia eticamente accettabile che lo Stato favorisca la società concessionarie  anche mediante una politica fiscale in virtù della quale alcuni giochi sono tassati meno dell'1%”.