martedì 1 aprile 2014

FRAMMENTI DI CINEMA IN 15 ANNI DI VITA

Mimmo Mancini: cosa rimane del cinema indipendente tra crisi, politica e cultura

Nello scorso numero di MuratTiamo vi abbiamo raccontato un po’ la storia di Ameluk e di come sia difficile far emergere il cinema indipendente nell’Italietta da “grande schermo”. Abbiamo quindi scelto di farci una chiacchierata direttamente con il regista di Ameluk, Mimmo Mancini, per osservare più da vicino la relazione tra crisi e cultura.
Da LaCapaGira ad oggi, cos’è cambiato nel cinema italiano?
Rispondere con cognizione di causa ed onestà intellettuale è abbastanza impegnativo. Ci provo. Parliamo di circa 15 anni, l’età di mio figlio Paolo, per capirci e materializzare la quantità di tempo e di eventi che si sono succeduti in questo frammento di mondo vissuto.
Da LaCapaGira ad oggi, o meglio: da un Oscar all’altro. Mi balza in mente un'immagine: l’inaugurazione di un cinema parrocchiale a Santo Spirito, ristrutturato in sala di buona qualità che tutt’oggi esiste. Quel lontano 1999, oltre al pubblico, in sala c'erano Oscar Jarussi, scrittore e critico cinematografico della Gazzetta del Mezzogiorno; Sergio Rubini, attore regista; Domenico Procacci, produttore editore, ed io. In quell’occasione Jarussi parlava della Puglia attraverso il cinema, presentando un suo libro sull'argomento. Allora erano ancora pochi i titoli dei film italiani e stranieri realizzati in quella terra, ma LaCapaGira stava per segnare  il suo destino e un nuovo periodo per il cinema indipendente: da quell’anno, di film in Puglia ne hanno girati tantissimi, dal Gargano a Santa Maria di Leuca. Questo è il primo dato importante: l'efficacia dell’Apulia Film Commission e delle Film Commission in generale, che hanno rivoluzionato la distribuzione del cinema italico e straniero su tutto il territorio nazionale.
Dunque una vera e propria decongestione della scena romana...
Quadruplicate le presenze dei set, formate e coinvolte tante figure professionali (tra discutibili e ottime) che addirittura hanno lasciato Roma, capitale dalla vita carissima e dagli scarsi stimoli, ma comunque capitale di un cinema italiano ricco per eredità e non certo per nuovi fermenti creativi. Ebbene si, lo smantellamento della concentrazione di cinema nella capitale, l’ha causato proprio l’efficacia delle Film Commission italiane, prima di tutte quella del Piemonte. Poi la Puglia, la Toscana, fino al boom attuale del Trentino, dove ormai si gira di tutto, anche film sull’Africa e sugli elefanti- pessima battuta per dire che pare abbiano molti soldi da investire in cinema e televisione senza un perché, e allora... Io però non vorrei mai vedere Cinecittà chiudere: piuttosto vorrei vedere nuove persone capaci di gestirla e non permettere più a nessuno di girare in Marocco, Romania, Bulgaria, Serbia, Argentina con i soldi delle tasse del popolo italiano. Salviamo Cinecittà dai papponi e dalla politica.
Oggi quindi parliamo di low budget anche nel cinema?
Low budget: una parola molto usata da LaCapaGira in poi, nel cinema italiano e nella fiction ex opulenta.  È cambiato il modo di riprendere il cinema a tutto tondo. Oggi il cinema low low, senza budget, è più accessibile e chiunque può provarci, grazie alla tecnologia che ha contribuito a questa grande rivoluzione.
Certo non giri un kolossal, ma piccole storie, prodotte da nuove produzioni o da ex grandi in difficoltà: storie che si realizzano con dignità tecnica ma non certo con dignità umana ed economica.
E qui veniamo ad un altro grande cambiamento...
Il dimezzamento delle paghe tra tecnici e attori, e forse anche per i produttori. Dimezzamento che se riferito ai cachet opulenti di un tempo offerti alle star va benissimo: era ora di smetterla nel destinare più di metà budget su pochi Conti Correnti. Però non condivido la riduzione delle già ridotte paghe destinate a tutti i tecnici e attori magari bravi, seri, onesti e disponibili (parliamo di una buona percentuale), ma ahimè non decorati o lustrinati (da chi poi?). Nel caos degli ultimi 15 anni sono sparite anche quelle poche regole sindacali, ottenute con sacrifici e dure lotte da illustri personaggi del cinema; ed è sparita un bel po' di dignità professionale e umana.
Il ruolo della politica in merito?
Film girati a metà, mai usciti perché non commestibili nemmeno sul piccolo schermo; una giungla di pseudo produttori di una pseudo sinistra che ha contribuito alla morte delle piccole produzioni. Alla fine è emersa una nuova idea di cinema: aggressivo, senza regole o con nuove regole che arrivano dalla televisione che in questi 15 anni ha divorato tutto. Nuove ricette, nuove strategie: non c’è più bisogno di bravi sceneggiatori, bravi registi, sedute fiume di scrittura a due, a tre o a quattro. Non si costruisce più un film con le mani delle maestranze negli studi: tutto gira intorno a un tavolo di qualche ufficio tra sponsor, politica, consulenze ben pagate, uffici marketing, esperti della comunicazione. Persino le raccomandazioni sono cambiate: prima erano velate, coperte da discrezione; ora i raccomandati ne hanno fatto un motivo di vanto e di sputtanamento spontaneo: “se non sei raccomandato, non sei nessuno”. Un proliferare di starlette e di stalloni incapaci d’intendere e volere ma intoccabili, grazie alla politica tutta e senza escludere nessun simbolo. Certo c’è chi l’ha fatto alla luce del sole e chi ha continuato a farlo sottobanco, anzi sotto coperte.
E la domanda aumenta, solo per ingrassare follemente le fila di giovani generazioni dell’immagine e dell’apparire, nuovi disoccupati senza nessuna speranza, figli di uno spettacolo privo di tutto, anche del sipario.
La solita forbice tra quantità e qualità insomma.
Più produzioni non portano necessariamente più cinema di qualità, però la nota positiva è che se vuoi realizzare una tua idea puoi farcela. Unico problema resta la distribuzione. Non basta una buona storia: prima di tutto serve la distribuzione, coinvolgere investitori, marchi, banche: la famosa tax credit.
Servono nomi di star gradite al sistema, utili per avere il denaro e la pubblicità dalla RAI o da Medusa. Più nomi hai, più soldi ricevi. Se la storia non è il massimo, fa nulla, tanto tra diritti ceduti alle tv, vendita pur minima e misera all’estero, pochi spiccioli ma che fanno sempre comodo, tra ministero e film commission, tra comunità europea e tax credit delle banche...
Come si può risolvere questo problema?
Quindici anni non sono tanti rispetto a una stella, ma sono tanti per descrivere un settore così difficile da analizzare in un solo articolo. Sono quindici anni da setacciare giorno per giorno, anno per anno, ottima materia per una tesi di laurea. Una tesi che sia anche una denuncia su tutto quello che in questi quindici anni ha contribuito a far del male al nostro cinema italiano. Non basta un Oscar per dire che il cinema italiano è salvo, è vivo, è in ripresa. Così come non è bastato quindici anni fa. A mio modestissimo parere ci sono molte luci che ancora tengono duro e cercano di non spegnersi nel cinema italiano, ma ci sono anche molte ombre che vanno illuminate e presto, ma in ogni settore e non solo sul cinema italiano.

“Mi piacciono le facce proletarie, quelle che raccontano qualcosa di vero, di autentico e noi, che gli zingari del Montenegro li abbiamo conosciuti, li riconosciamo nel vecchio con i denti di oro di Kusturica. E lui ha avuto la grande intelligenza di mettere insieme queste facce, di raccontare le storie che appartengono  al genere umano e non solo all’ex Jugoslavia, non ha avuto che l’intuizione di dire <<racconto io per voi ma siete voi i veri protagonisti>>. Spero ci sia anche in Puglia un regista capace di raccontare certe storie e di scegliere le belle facce proletarie che non mancano e che ne avrebbero di cose da dire.  LaCapaGira non è un capolavoro ma sicuramente può essere un  punto di partenza. Siamo solo agli inizi.
Tempo fa mi sono rivolto dal sig. De Santis, grosso produttore di olio che esporta  in tutto il mondo; gli avevo chiesto un piccolo budget di dieci milioni per la realizzazione di un cortometraggio in cui c’era anche lo spazio per parlare della lavorazione dell’olio. Mi ha risposto di non essere assolutamente interessato, e tutto ciò detto con un certo disprezzo.
Perché i signori industriali pugliesi, e sono tanti, non decidono di fare qualcosa in questo settore? Mi è stato detto che Fellini i primi film li ha realizzati grazie ad alcuni negozianti romani che hanno fatto una specie di colletta per farglieli finire”.

Quest’ultimo virgolettato fa parte di un’intervista fattami da una laureanda (allora, oggi laureata e disoccupata poverina, che non nomino per riservatezza e rispetto) in Scienze della Comunicazione. Fa parte della sua tesi. La ripresento per alcuni dati e per alcune mie osservazioni che risalgono appunto a circa dieci anni fa. Mi fa pensare che le cose non siano cambiate poi così tanto.


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