martedì 1 aprile 2014

CRISI: IN TAVOLA LA DIETA DELLA SPERANZA

K.O. per i consumi nei settori Alimentazione e Sanità

Estremizziamo per rendere appieno l’idea: tra una fetta di carne, un check up e un Gratta e Vinci, gli italiani scelgono sicuramente quest’ultimo, perché la fame è tanta sì, ma la speranza- come si dice - è l’ultima a morire.
I dati resi noti dall'Istat sui consumi delle famiglie nell’anno 2013, parlano da soli:
-3,1% nel settore alimentare e -5,7%  per la sanità. Si tratta di percentuali estremamente indicative della situazione di profonda crisi in cui vivono gli italiani. Secondo l’Osservatorio Nazionale Federconsumatori infatti, a causa della riduzione del proprio potere di acquisto, una famiglia di tre persone nel 2013 è stata costretta a ridurre i propri consumi alimentari di  circa 309 euro.
Per contro, l'unico settore che non conosce crisi- incredibile ma vero- è quello del gioco, il cui giro d'affari cresce in maniera esponenziale di giorno in giorno ed è arrivato ad assorbire oltre il 12% della spesa delle famiglie. Roba da mani tra i capelli. Questo tipo di “consumo” non consola affatto, anzi: non fa che evidenziare chiaramente la disperazione dei cittadini che affidano la propria speranza di fuoriuscita dalla crisi affidandosi alle mani della dea bendata.
In questo modo continuiamo a portare in tavola i piatti previsti dalla dieta della speranza, attingendo da un buffet ricco non solo di Gratta e Vinci, ma anche di lotterie, slot e scommesse di ogni genere. Una situazione che, solo a scriverne, suscita immenso disagio e difficoltà.
Cosa fare per riprendere in mano le redini? Secondo la Federconsumatori, tanto per cominciare “è necessario un intervento urgente contro le speculazioni nei vari passaggi di filiera, che ancora incidono pesantemente sui prezzi dei beni, frenandone la domanda”. Ma indispensabile è anche “avviare misure immediate per il rilancio del potere di acquisto delle famiglie e la ripresa della domanda interna, attraverso una detassazione a favore del reddito fisso (lavoratori e pensionati) e misure per il rilancio dell'occupazione, in particolar modo quella giovanile”.

Attenzione alle fasce maggiormente colpite

In realtà il problema è molto più ramificato di quanto si pensi, dal momento che non lo si può certo slegare da quella che impropriamente viene definita ludopatia.
Negli ultimi anni infatti è aumentato drasticamente il numero delle persone “cascate” nel vortice del gioco d’azzardo, con particolare riferimento alle classi sociali più deboli e agli over 65 che dilapidano la propria pensione nella speranza di fare fortuna. Secondo l'indagine “Anziani e azzardo”, condotta da Auser, gruppo Abele, Coop Piemonte e Libera (condivisa da LaRepubblica.it), su mille anziani intervistati, il 70,7% ha ammesso di aver giocato almeno una volta nell'ultimo anno. Nel 16,4% dei casi i questionari hanno rilevato una situazione “problematica” in cui l'assuefazione all'azzardo è di gravità medio-alta. Fortunatamente non tutti i giocatori sono patologici: il 56,4% scommette senza determinare ripercussioni economiche o sociali; e comunque la maggior parte gioca per vincere denaro, per divertimento e per incontrare persone. Un dato che rispecchia la “log(ist)ica” del gioco: non è un caso infatti che i luoghi in cui si scommette maggiormente siano le ricevitorie e i bar.
Secondo lo studio, il 30% degli anziani gioca a Lotto e Superenalotto, il 26,6% al Gratta e Vinci e alle lotterie istantanee. Questi dati non solo incidono pesantemente sulla qualità di vita delle persone: si stima che ogni anno le casse statali sborsino circa 6 miliardi di euro in spese sanitarie e giudiziarie, per non parlare dell'aumento dei crimini legati all'usura. Eppure questo non basta ad ottenere un’inversione di marcia da parte del Governo che, anziché impegnarsi in una lotta significativa contro questo cancro sociale, continua a fare “orecchie da mercante” rispetto agli appelli delle Associazioni impegnate in questa guerra. “Tutte le forze democratiche -  afferma Auser nazionale-  devono domandarsi quale modello culturale e di sviluppo ne può derivare e se quindi sia eticamente accettabile che lo Stato favorisca la società concessionarie  anche mediante una politica fiscale in virtù della quale alcuni giochi sono tassati meno dell'1%”.

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