Un mestiere
antichissimo, quello dell’artigiano, radicato nel tempo e nella storia,
caratterizzato da alti e bassi. Ultimamente soprattutto di bassi. Perché se
nell’antica Roma avevano ottenuto la dignità di “cavaliere”, nell’età del
Cavaliere gli artigiani quella stessa dignità devono difenderla con le unghie e
con i denti. Precario il made in Italy, precarie le storiche botteghe, precaria
la produzione, precari il centro e la periferia: dove è prevalsa l’ingordigia
delle grandi industrie, gli artigiani e i bottegai sono diventati troppo
costosi.
Negli anni ’70 gli italiani erano considerati “i cinesi” d’Europa; negli anni
’80 invece si è assistito all’exploit dell’homemade
con lavoratori che si sono licenziati per aprire piccoli laboratori
specializzati, e aziende che, avvalendosi di quegli stessi laboratori esterni,
hanno pian piano costruito la fama del made in Italy. Poi è arrivata la fame
delle grosse aziende che anteponevano il profitto alla qualità: la competenza e
l’amore per il prodotto artigianale a poco a poco sono stati sostituiti dalla
logica del guadagno. Per non parlare delle lobby che negli ultimi anni hanno
ostacolato ogni disegno di legge che andasse a tutelare il Made in Italy, a
danno dei piccoli produttori e consumatori. Ed ecco che arriviamo al presente,
dove il tentativo di ridurre i costi ha quasi smembrato il comparto.
Allora se nell’ultimo anno ben 5 mila negozi di abbigliamento hanno cessato
l’attività, l’unica strada percorribile è quella della ritorno alla qualità,
nell’attesa che la stessa torni ad essere marchio di unicità ed eccellenza.
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